Di Maio sarebbe il premier più giovane d’Italia, 3° campano. Quelli prima di lui…


Nel pieno fervore elettorale tra comizi, promesse, accuse tra politici per chi sia più pulito moralmente o chi ostenta programmi elettorali più spessi in volume di pagine, c’è sempre il solito problema: ma al Sud che si fa?

Bomboniera d’arte e bellezza, vanto dell’Italia intera per la magia e l’incanto che nasconde in ogni sua insenatura paesaggistica, è ancora una realtà problematica per le criticità ancestrali che nessuno è mai riuscito a risolvere. Se per mancanza di efficacia negli interventi politici o se per distrazione politica verso altri affari, è un verdetto lasciato alla sfera della discrezione del singolo cittadino. E qui non ci addentriamo.

Eppure a pensarci bene, ci verrebbe da chiedere: chi può aiutare il Sud se non un meridionale?

E infatti la storia politica ha visto succedersi alla carica di premier ben sette meridionali, tra i quali due campani.  Attualmente Luigi Di Maio in carica per la presidenza del Consiglio con il Movimento 5 Stelle in caso di vittoria, sarebbe il terzo premier campano e soprattutto il più giovane nella storia d’Italia (i suoi 31 anni di età battono i 39 di Matteo Renzi, che perderebbe il suo record di giovinezza). Di Maio propone un elaborato programma di rilancio del Meridione con l’investimento di grosse cifre per interventi mirati. Un programma che auspicherebbe il risanamento completo dell’intero tacco e punta dello stivale, dando come garanzia della serietà del suo programma la sua origine campana e quindi la piena conoscenza dei problemi che affliggono il nostro Sud.

Una garanzia, quella di essere un terrone, che non sempre è valsa come tale per i premier meridionali. Ed è proprio la storia, in questo caso, a fare da garanzia:

Primo tra tutti Mario Scelba (presidente dal 1954 al 1955), originario di Catania, esponente del partito democristiano, avverso al fascismo e alla politica di Mussolini. Fu il primo ministro a investire nella “Celere”, reparto di polizia addetto a placare le rivolte violente che minavano all’ordine pubblico. Nonostante la sua tempra meridionale, fece poco per il Sud. Non riuscì a sradicare il banditismo siciliano che aveva messo in ginocchio i poveri contadini. Ma sopratutto minimizzò la Strage di Portella della Ginestra, forse per il suo silente appoggio alla mafia. Della serie: “tu non dai fastidio a me e io non do fastidio a te”.

A seguire Antonio Segni (presidente dal 1955 al 1957,dal 1959 al 1960), originario di Sassari, grazie a lui l’Italia entrò a far parte della Comunità Economica Europea. Ma soprattutto è ricordato per la sua Riforma agraria, quando fu Ministro dell’Agricoltura dal 1946 al 1951. Una legge importante per la Sardegna e per il Sud che sanciva l’esproprio coatto delle terre ai grandi latifondisti per distribuirli ai braccianti agricoli rendendoli piccoli imprenditori.

Giovanni Leone (presidente nei mesi da giugno a dicembre 1963 e 1968) napoletano di nascita fu un presidente di transizione, più efficace nella professione di avvocato che in quella di leader politico, avendo governato per un periodo davvero breve, al punto che il suo primo governo venne definito “balneare”. Non fece molto per il Meridione, anche perché venne coinvolto in diversi pettegolezzi e scandali politici.

Aldo Moro (presidente dal 1963 al 1968, dal 1974 al 1976), originario della Puglia, fu l’unico a non condividere la scelta dell’industria pesante per il rilancio dell’economia al Sud. Preferì la linea del sostegno all’agricoltura e alla piccola e media impresa. E da capo del governo difese con le unghie l’autonomia dello Stivale. Fu attento alla libertà dell’informazione. Non a caso si pose in prima fila a impedire la colonizzazione della stampa del Sud da parte di gruppi del Nord contaminati da poteri occulti.

Francesco Maurizio Cossiga (presidente negli anni 1979-1980) di origini sarde, è stata un’altra personalità contorta. La sua breve esperienza da premier è stata caratterizzata più da intrighi e da accuse di favoreggiamento al terrorismo che da interventi concreti in sostegno per il Meridione.

Luigi Ciriaco De Mita (presidente negli anni 1988-1989) avellinese di nascita non venne mai coinvolto in nessuno scandalo politico, restando sempre una persona ligia ed etica nella gestione delle diverse cariche istituzionali svolte. Non amava utilizzare il termine clientelismo, ma di certo aiutava e proteggeva i suoi compaesani. Venne anche accusato di aver formato attorno a sé un entourage avellinese, ma De Mita non negò mai la sua predilezione per il Sud e per il suo popolo. E per tale motivo nel terremoto dell’80 non esitò a elargire fondi ed aiuti nella ricostruzione dell’Irpinia.

In conclusione, in caso di vittoria, a Luigi Di Maio va l’oneroso compito di fare meglio!


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