La maschera è stata finalmente sollevata dalla faccia, nell’armandio tra i tanti vestiti indossati è ricomparsa la bandana arancione, quella che nel 2011 indossò all’indomani delle elezioni comunali del 2011. Luigi De Magistris da tempo ha smesso di fare il sindaco di Napoli per pianificare il suo futuro politico, in barba a quello della città.
Questa mattina con un lungo post ha annunciato la sua discesa in campo nell’eventualità che ad ottobre si ritorni a votare per le politiche dopo il disastro in cui Salvini e la Lega hanno rispedito il Paese. La crisi di Governo fornisce l’assist a DeMa, pronto ad alzarsi da quella poltrona, rimettersi la bandana e provare ad entrare in Parlamento.
In alternativa ci sono sempre le elezioni regionali del 2020, sebbene il calo del consenso nei suoi confronti non gli consentirebbero una vittoria scontata. Inoltre la sua mancata militanza ad uno dei partiti tradizionali, non lo mettono nelle condizioni migliori per sfidare uno come De Luca.
Diversamente la corsa ad una poltrona a Roma, appare impresa meno ardua. De Magistris da tempo si sta preparando ad una tornata elettorale che lo porterà inevitabilmente più lontano da Napoli, al termine del doppio mandato come sindaco di Napoli.
Il terreno è stato già preparato. De Magistris nel 2017 ha lanciato la lista DeMa partecipando alle elezioni comunali. Tra i nomi di spicco, vicini al primo cittadino, la fida scudiero Alessandra Clemente e Josi Gerardo Della Ragione, attuale sindaco di Bacoli. Per la verità pochi sono stati i consensi in quella tornata, ma una lista indipendente è necessaria al sindaco per potersi giocare le sue carte al tavolo dei grandi partiti, perché nonostante i suoi abboccamenti una volta al Movimento, l’altra al Pd, è stato sempre considerato un antagonista. Porte chiuse allora. Lui apre il porto delle elezioni con la sua lista di cui fa parte anche il fratello Claudio.
A Napoli ci rimarrà ancora, fino alla prossima tornata elettorale utile. Di progetti nella sua città neanche l’ombra. Da tempo ha smesso persino di raccontare bugie. Troppo impegnato a dimenarsi tra questione migranti e porti aperti, reddito di cittadinanza e anti salvinismo.
I tempi delle bandana arancione sono ormai all’epilogo. La rivoluzione declarata a più riprese si è lentamente ma inesorabilmente sciolta come neve al sole. E dopo un primo mandato dove è riuscito a barcamenarsi facendo leva sull’eccezionalità della città, sul incremento turistico e sul superamento dell’emergenza rifiuti è riuscito a farsi rieleggere, sebbene era già evidente un calo netto del consenso.
Ha promesso una Napoli che oggi appare ben lontana dalla sua realizzazione. Capitale dei trasporti, differenziata a percentuali altissime, reddito di cittadinanza comunale. Salvo poi criticare l’approvazione del vero reddito di cittadinanza varato dal Governo. Ha raccontato di una rivoluzione in atto, di una città invidiata nel mondo per la sua grandezza pubblicando numeri senza però mai riferire da dove li prendesse. Ha distribuito cittadinanze onorarie come fossero pezzi di torta ad una festa di compleanno. Si è auto intestato il rinnovamento dello Stadio San Paolo per le Universiadi, quando era chiaro a tutti che senza i soldi della Regione la città sarebbe rimasta con un pugno di mosche in mano.
E oggi dopo 8 anni della sua gestione napoletana, ci si ritrova nuovamente a dover fare i conti con i medesimi problemi di un tempo. Con tanti turisti in più per fortuna, ma con una povertà dilagante e una città che in termini di servizi per i cittadini è all’anno zero. Ma soprattutto quello che più di tutto scoraggia è la mancata pianificazione. Di cosa sarà Napoli nel suo prossimo futuro, questo sindaco con la bandana arancione non lo ha previsto. Ma ha pianificato un posto al sole in Parlamento.