Recovery Fund, l’ultima occasione che ha il Sud per sopravvivere e incamminarsi verso quello sviluppo che lo equiparerebbe non solo alla parte restante d’Italia, ma soprattutto all’Europa, di cui oggi costituisce una delle aree più povere. Non a caso il programma viene spesso definito come un secondo Piano Marshall: 74 anni si doveva ricostruire sulle macerie lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale, oggi invece su quelle economiche e sociali lasciate dalla pandemia.
Il Piano Marshall, però, fu un’occasione (ben colta) soltanto per il Nord, che riuscì ad ottenere addirittura l’87% dell’ammontare complessivo degli aiuti destinati all’Italia, finanziando le industrie e gli apparati produttivi settentrionali. Prestiti che poi gli Stati Uniti decisero di convertire in regali, rinunciando alla restituzione.
Se fino al dopoguerra il Mezzogiorno era riuscito a competere con difficoltà, ma in grado tutto sommato di difendersi, nonostante una politica post unitaria che aveva sistematicamente favorito il Settentrione, dal secondo dopoguerra in poi è sprofondato fino ai giorni nostri. Dagli anni ’50 in poi il mondo ha smesso di camminare per cominciare a correre, volare, raggiungere lo spazio e senza investimenti adeguati il Sud è stato condannato a restare dov’era, cristallizzato in un mondo antico che ormai non esisteva più.
Ecco perché, oggi, è necessario sfruttare un’occasione che non si ripresenterà mai più. L’inversione di tendenza del nuovo governo Draghi, che ha messo in posti strategici ministri del Nord, sembra proprio la risposta alle tante lamentele sorte quando Giuseppe Conte annunciava che almeno la metà dei 209 miliardi sarebbe servita a finanziare progetti per il Sud, come d’altra parte chiede l’Unione Europea (che non indica percentuali ma impone che i fondi servano a superare divari territoriali, dunque disponendo che le aree più depresse ricevano di più).
Non solo. L’attuale classe politica, presa dall’ansia perché i progetti finanziabili con il Recovery devono essere completati entro il 2026, sta sostanzialmente rinunciando a idee nuove, visionarie, per proporre di inserire progetti già avviati ed alcuni addirittura già finanziati. Si tratterebbe quindi di usare i soldi del Recovery al posto dei soldi che erano stati già trovati, una sostituzione invece di un passo ulteriore, la rinuncia ad una spinta che per l’Italia intera potrebbe essere fatale.
Esiste inoltre il capitolo rappresentato dal Ponte sullo Stretto di Messina. Non un ammasso di cemento, ma quell’infrastruttura che, se costruita, permetterebbe di collegare con l’Alta Velocità Palermo a Helsinki, ma soprattutto realizzare una serie di infrastrutture in tutto il meridione che ammodernerebbero il territorio. Tutto il Sud, a quel punto, entrerebbe in quell’Europa che solo a fatica arriva fino a Salerno. Ricordiamoci che Matera è stata Capitale della Cultura nel 2019 senza avere una stazione ferroviaria.
Un’occasione di cui si coglie ancora di più l’opportunità guardando all’esempio della Germania dopo la caduta del muro di Berlino: i tedeschi sono riusciti nell’arco di un periodo di tempo limitato ad annullare la distanza economica e sociale tra la parte est e quella ovest della nazione; oggi è il paese trainante dell’Europa forte della propria potenza economica, ruolo che può svolgere soltanto grazie all’omogeneità della nazione che hanno ri-fondato. L’Italia riuscirà non essere più il Paese delle occasioni sprecate?