Il leghista, anche se mette un abito diverso, resta sempre leghista. Questo vale per tutti i militanti del partito, specialmente quelli storici, come quel Roberto Calderoli al quale il governo Meloni ha affidato il compito di realizzare l’autonomia differenziata. Proprio questo è il terreno di scontro con l’opposizione rappresentata dal Movimento 5 Stelle ed il Partito Democratico.
Roberto Calderoli, commentando l’intervento degli esperti nominati dai partiti di opposizioni nell’ambito del primo ciclo di audizioni sull’autonomia, non solo ha espresso parole cariche di disprezzo verso gli studiosi chiamati in causa, ma ha fatto emergere ancora una volta i suoi pregiudizi anti napoletani affermando “inizio a essermi stancato di sentire certa sinistra con l’eterno ‘chiagne e fotte’ di partenopea memoria“. Ancora una volta, tramite la bocca del leghista Calderoli, emerge un’immagine di Napoli come la terra dei furbi che ottengono i propri vantaggi nonostante l’apparenza di stenti.
Gli esponenti del PD hanno colto la palla al balzo per ergersi a difensori del Mezzogiorno e dei napoletani stessi. Il deputato Toni Ricciardi ha detto che Calderoli “si conferma l’antimeridionalista per eccellenza”; Marco Sarracino, responsabile nazionale Sud e aree interne, ha invece sostenuto che le parole del ministro “Oltre ad essere ancora una volta offensive nei confronti dei napoletani, rappresentano la solita operazione di distrazione di massa da parte di chi, oltre a non voler entrare mai nel merito, è ben consapevole di aver scritto un provvedimento sbagliato e ingiusto”.
A noi preme ricordare, invece, che l’antimeridionalismo e l’atteggiamento razzista nei confronti dei napoletani è una prerogativa costituente dell’Italia unita, che sin dal 1860 ha messo in campo una politica volta a favorire sempre un’area del paese a discapito del Mezzogiorno. Senza perderci in discorsi ripetitivi, basta citare alcuni provvedimenti emanati proprio con il Partito Democratico al potere.
– Recovery Fund, l’Unione Europea assegna all’Italia ben 209 miliardi di euro di cui circa il 68% avrebbero dovuto essere destinati al Sud a causa dei criteri imposti proprio dall’Europa. L’Italia ha accettato quel denaro e quelle condizioni, per poi modificare i criteri stabilendo la clausola del 40%, ossia la soglia di fondi da assegnare al meridione. Uno scippo di almeno 60 miliardi di euro. Il PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, fu approvato dal Governo Conte II composto da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva.
– Anno 2014, il Partito Democratico è al governo con Matteo Renzi presidente del Consiglio. Con il decreto Sblocca Italia furono affidati al Sud soltanto il 19% degli investimenti (a fronte del 34% della popolazione), con il caso emblematico delle ferrovie per le quali il Centro-Sud ottenne soltanto l’1,2% delle risorse.
– Rapporto Eurispes del 2020: i calcoli relativi al periodo 2000-2017 evidenziano che il centro-nord ha sottratto al sud una parte di spesa pubblica di circa 840 miliardi di euro, pari a 46,7 miliardi di euro l’anno. Il PD, dalla sua fondazione a ottobre del 2007, ha governato praticamente senza interruzioni dal 2011 al 2017, più un trimestre nel governo Prodi II, mentre sui esponenti sono stati al governo per diversi anni nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2007. La riforma del Titolo V della Costituzione, gravemente lesiva degli interessi del Sud, fu voluta da un governo di sinistra i cui esponenti, nella maggior parte dei casi, confluirono poi nel PD.
Da sinistra a destra, passando per il centro, nessun partito ha fatto mai davvero gli interessi del Mezzogiorno. Il Sud è sempre stato visto come un’area da cui prelevare risorse e manodopera a basso costo da impiegare nelle industrie del Settentrione, unica e sola area d’Italia su cui si sono concentrati i veri investimenti e che si è scelto di far sviluppare sul modello delle grandi potenze europee.