“Evito di fare satira politica perché se ti limiti a dire che Andreotti è gobbo e Fanfani è corto rischi di fare il loro gioco. Ti metti la coscienza a posto e aiuti la DC ad apparire più democratica solo perché ti fa passare le battute”.
Queste parole le ha dette Massimo Troisi agli inizi della sua carriera nel cinema, in merito al fatto che egli, a differenza di molti comici dell’epoca, non prendeva in giro i politici italiani nei suoi sketch. La ragione si trova nella distinzione tra una “comicità ufficiale”, quella che il potere ti permette di fare facendoti andare anche in televisione, e una comicità quasi clandestina, che si vive nei piccoli teatri ed è censurata dal potere, poiché dice cose scomode. La comicità ufficiale serve al potere per apparire quello che non è, cioè buono, aperto a ogni tipo di critica, democratico, quando in realtà è tutto il contrario. Massimo Troisi infatti afferma:
“Se un regime ti permette di giocare è perché sicuramente ci guadagna qualcosa”.
Troisi dunque va oltre, e alla simulata democrazia oppone un concreto regime, dove la possibilità di esprimersi nei canali ufficiali viene data dal potere, che opera un filtraggio di ciò che può arrivare al grande pubblico attraverso la Televisione, i grandi giornali, le grandi riviste. Così ci troviamo davanti a un sistema di comunicazione ed informazione che sembra pluralistico, diversificato, ma che è nella sostanza approvato e organizzato dal sistema, il quale è compatto, unito, mentre le divisioni che appaiono dal di fuori (destra, sinistra, centro, comunisti, socialisti, fascisti, liberali e così via) sono soltanto una facciata che nasconde il vero volto del potere. La dimostrazione ci è giunta con lo scandalo di Tangentopoli, che ha coinvolto politici di ogni colore politico, e continua oggi, quando tutto il Parlamento è compatto nel difendere un proprio esponente contro la macchina della giustizia.
Una volta entrato a far parte, però, della comicità ufficiale, Massimo Troisi ha iniziato a dirle le cose indigeste:
“Poiché io rientravo in quella comicità, mi sarei vergognato a sfruttarla in modo così ovvio, così banale, che avrebbe fatto addirittura il loro gioco”.
Anche il comico può essere una guida, anzi, forse lo può essere lui più degli altri, d’altra parte l’arma della risata è stata sempre utilizzata per dire la verità, basti pensare ai giullari di corte che saltavano sulle tavole imbandite alla presenza del re e ne raccontavano le mancanze, le colpe. Gli strumenti per cambiare perciò ci sono, e fondamentale è la figura dell’intellettuale impegnato, che lascia le ville e i salotti e si sporca mani per risvegliare le coscienze della gente, per destarle dallo stato di sonno indotto dal potere. Di seguito potete guardare sia l’intervista dove Massimo Troisi esprime questi concetti, sia la loro messa in atto sulla RAI invitato da un Pippo Baudo evidentemente impressionato dalla genialità del napoletano.